Il primo anno di partita IVA è stato spaventosamente duro, ho lavorato tantissimo e fatturato pochissimo. A proposito di fare spazio… non ne avevo altro per le altre aree della mia vita.
Le cose sono andate meglio da metà anno in poi, ma ormai la situazione era quello che era.
Nel contesto lavorativo, sapresti rispondere alla domanda: “Qual è l'aspetto più importante” o “Qual è l’unica cosa che conta“?
Nel cercare di dare un senso a quello che stavo facendo, in fondo la mia priorità non è mai cambiata: fare in modo che il mio lavoro continui a essere sostenibile, in base alla mia personalissima idea di sostenibilità.
Per farla breve, voglio continuare a vivere di quello che faccio, del mio perché.
Guardandomi indietro, ritenevo il mio lavoro sostenibile nei primi periodi di attività?
Assolutamente no. Se avessi continuato con lo stesso ritmo, non sarei qui a scrivere questo testo su questo argomento.
Ritenevo il mio lavoro sostenibile in relazione al primo anno?
Certo che sì, soprattutto per una persona incosciente come me che prima fa le cose e poi pensa a cosa avrebbe potuto fare per prepararsi meglio…
Nel 2016 zero contatti, zero clienti, zero presenza online… Ho aperto duemila profili social, duecento servizi, continuavo a scrivere “delega di qui”, “delega di là”.
Ho dato le dimissioni senza sapere nemmeno cosa avrei fatto. Ecco, se posso permettermi di dare un consiglio a chi inizia: NON fate come me.
È cambiato tutto quando ho stravolto il mio modo di usare i social e di diversificare. Ho iniziato a frequentare sempre di più persone che facevano lavori completamente diverse dai miei e ho seguito la via più facile per me: comunicare e divulgare ciò che mi piace e ciò che io stessa imparo.
In merito ai contenuti e all’uso dei social, è andata più o meno così: ti faccio vedere cosa potrei fare senza aspettare che tu me lo chieda, facendo qualcosa che mi piace, che mi esce naturale, che mi diverte e che non mi pesa.
Tra l’altro, applicando solo lo 0,1% di tutto ciò che leggo, ma va benissimo così sempre per il rispetto della mia idea di sostenibilità. E questo principio si applica perfettamente anche alla riorganizzazione del proprio modo di lavorare.
Questo approccio mi ha permesso di rendere chiaro anche il supporto che posso portare alle persone. Quello che posso fare per loro e con loro.
Alcune delle mie attività sono cambiate nel corso del tempo, come è naturale che sia. Una serie di scelte non facili e che mi hanno portato a vivere quello che viene spiegato nel libro Norwegian wood: Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna.
In pratica, si tratta si portare avanti un lungo e lento allenamento verso la capacità di sfoltire. Che potremmo tranquillamente identificare come quella vitale necessità di ridurre, eliminare o lasciare andare. Fare spazio insomma.
Tagliare i rami secchi è abbastanza facile… sono secchi appunto… e tagliare quindi le attività che non vanno bene o i servizi non richiesti è abbastanza semplice, almeno da riconoscere.
La parte difficile riguarda il taglio di alcuni rami che potenzialmente potrebbero ancora fiorire, portando avanti in questo caso la capacità di lasciare andare qualcosa.
Perché, come dice David Allen, puoi fare qualunque cosa, ma non tutto.
Come freelance, sono partita esclusivamente con l’assistenza virtuale e la delega. La parte più difficile? Far capire il mio lavoro. Difficoltà riscontrata a partire dalle persone che mi stavano accanto; per farti capire cosa intendo, riporto un dialogo semiserio tra me e mia madre proprio agli inizi della mia attività.
«Ma non lavori più in ufficio?»
«No, ho dato le dimissioni.»
«E cosa fai adesso?»
«L’assistente virtuale.»
Silenzio.
Per sicurezza ripete l’ultima domanda:
«E cosa fai adesso?»
«Lavoro da casa.»
Silenzio.
«Ma ti pagano?»
La prima preoccupazione di mia madre è sapere se una specie di stipendio arriva lo stesso.
«Sì mamma, è un lavoro come gli altri, ma non vado in ufficio.»
«E la tredicesima?»
«Non c’è nessuna tredicesima.»
«Ok.»
Qui l’ok è molto peggio del silenzio e detto da una madre è molto peggio del fai come vuoi usato tra partner.
«E come fai?»
Qui la voce comincia a tremarle, la paura dell’ignoto avanza.
«Con Internet… Aiuto le persone a svolgere delle attività a seconda di quello che serve.»
«E ma spiega.»
«Mamma ti sto spiegando!»
«Ma cosa usi?»
«Internet, il computer, il telefono, i Social… vabbé ecc. Ormai non è più necessario andare in ufficio, posso fare le stesse cose da casa o anche da altre parti, basta avere una buona connessione.»
«E come fai a trovare le persone?»
«Ci sono tanti modi, sempre su Internet, con le pubblicità, con il passaparola…»
Subito dopo aver pronunciato passaparola, per un attimo ho avuto paura.
Nella mia mente è apparsa la figura materna al bar che, mentre beve il caffè ristretto-amaro-mi-raccomando-bollente-e-magari-con-quel-biscottino-lì-anche-se-non-dovrei-perché-ho-appena-finito-di-leggere-il-libro-di-macrobiotica, tenta di spiegare alle altre signore che sua figlia fa l’assistente dimenticandosi del virtuale e facendo partire mille discussioni: «Sì è tipo l’assistente, ma non quella dei dentisti, lavora da casa e va sull’Internet».
Dopotutto, il passaparola non è sempre la soluzione migliore.
La situazione è migliorata notevolmente quando mi sono specializzata sui temi legati all’organizzazione, come professional organizer appunto, concetto molto più amichevole per lei 🙂 (anche se rimarrò per sempre la figlia che lavora con il computer e che ha i cani).
Diciamo che la comunicazione verso l’esterno è andata un po’ meglio - anche perché peggio di così era davvero difficile 😅 - e soprattutto, mi ha anche permesso di aumentare l’incredibile bellezza delle persone che sono entrate in contatto con me.
Chi arriva a conoscermi casualmente è in grado di capire se rientro nei suoi interessi oppure no. In questo modo sia io sia lei o lui non perdiamo tempo. Questa è una cosa di una potenza incredibile.
Da questo punto di vista, i social in generale mi hanno dato la possibilità di parlare a più persone, nel modo che io preferisco. Le persone che mi contattano sanno già cosa aspettarsi, almeno a grandi linee, perché ho dato loro la possibilità di conoscermi.
Sono riuscita a costruire un ecosistema che mi piace.
A distanza di anni, sono sempre più convinta di questo: a rendere un lavoro sostenibile nel tempo non è la singola azione, non è il fatturato, non sono i clienti.
È tutto l’ecosistema che si crea.
Tutto il resto arriva comunque, ma è una conseguenza dell’ecosistema.
Certo che vendo qualcosa, ma è il come lo faccio che fa tutta la differenza del mondo. O meglio, fa la differenza per come risuona in me.
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Cornalba, aprile 2024
Nuvole parlanti.
Con stima nerd,
Debora