[#48] Come smontare i falsi miti sull’organizzazione e sulla delega
Perché in fondo basta solo un'agenda.
Quali sono le obiezioni più comuni quando si parla di organizzazione e delega? Ne ho raccolte sei tra quelle che sento ripetere più spesso.
1. Sto benissimo nel mio disordine
Andiamo per gradi, procediamo con (dis)ordine.
Il disordine in sé non è negativo e, soprattutto in alcune fasi della crescita, può aiutare a formare il carattere, a conoscersi, a trovare la propria unicità e a distinguersi. Significa sperimentare, creare, trasformare.
In ambito lavorativo, se riusciamo a trovare ciò che ci serve quando ci serve - senza invocare la volta celeste in ordine alfabetico e senza rifare due o tre volte lo stesso lavoro - non vedo particolari problemi.
Gli aspetti negativi legati al disordine arrivano quando:
collaboriamo con altre persone che non condividono il nostro approccio;
perdiamo tempo su attività irrilevanti perché manca un metodo organizzato;
proviamo fastidio e malessere nel vedere il caos intorno a noi.
A volte, la frase sto benissimo nel mio disordine è la strada che scegliamo quando il pensiero di rivedere il nostro spazio, fisico e digitale, ci crea ansia o una sensazione di eccessivo sovraccarico. Questi segnali richiedono di fermarsi, fare spazio e imparare a lasciar andare qualcosa. Riflessioni che sono più facili da nascondere sotto il tappeto chiamato disordine.
2. Sono una persona creativa, tutta questa organizzazione toglie spontaneità al mio lavoro
«La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane» (Italo Calvino)
La solida fetta di pane è il metodo di lavoro organizzato.
Che cosa vuol dire?
Dopo aver organizzato la parte noiosa, come le procedure, le liste operative, l’agenda, le cose da fare, l’archiviazione, la denominazione dei file, le condivisioni… significa avere moooooolto più tempo e spazio per pensare, permettendo alla mente di vagare, fare nuove connessioni e riconoscere queste connessioni. Per certi versi, fare felici scoperte.
Non esiste un approccio organizzato unico per tutte le persone. Dal caos completamente fuori controllo agli ambienti che sembrano degli studi medici, ci sono tante sfumature organizzate che possiamo adottare.
L’organizzazione non è nemica della spontaneità; piuttosto, è il continuo accumulo dell’operatività, che non ci lascia nemmeno il tempo di capire se la strada che stiamo percorrendo sia quella che vogliamo davvero.
La mente ha bisogno di spazio per la spontaneità e non deve essere occupata da cose che possono essere organizzate.
Non so se ti è capitato di avere una nuova idea da proporre a un cliente o al tuo responsabile, ma di non avere nemmeno il tempo di darle una forma perché ti mancano il tempo e lo spazio.
Quando finalmente potresti avere qualche ora per metterci la testa, ecco che arriva il carico pieno di stanchezza e frustrazione.
Cosa fai? Decidi di fare tutto di corsa e presentare un’idea mezza completa oppure preferisci fare un passo indietro per tornare sulla strada già nota senza sperimentare qualcosa di nuovo.
In entrambi i casi, l’assenza di organizzazione ha fermato la tua creatività, non il contrario. L’organizzazione protegge la tua energia e la tua mente, per lasciarti lo spazio necessario per la cura delle tue idee.
3. Non mi interessa avere delle giornate perfette
Partiamo da qui: l'organizzazione non serve a garantire giornate perfette, anche perché non esiste persona al mondo che le abbia. Detto questo, è quella cosa che ci aiuta a mettere al riparo ciò che conta quando arrivano le tempeste e ci permette di rientrare prima in carreggiata.
Correva l’anno 2018 e mi stavo organizzando per partecipare all’evento dei canali Telegram a Bologna. Sapevo che avrei dovuto parlare del mio canale e spiegare l’intento dei contenuti pubblicati; mi ero già fatta tutto il film in testa per parlare dell’importanza della gestione del tempo e dell’organizzazione.
Segnati questi due termini: gestione del tempo e organizzazione…
Peccato che…
Avevo molto tempo libero prima di prendere il treno e così, tranquilla e serena, sono uscita con il cane.
Ignara.
In ordine sparso e per non annoiarti: pioggia, pioggia e sempre più pioggia. Cane, lepre, lepre, cane… Corsa nel fango… Fango nella corsa…
Torno a casa distrutta, meno tranquilla e serena di prima, ma molto in ritardo.
Fortemente in ritardo.
Mi fiondo alla Stazione Centrale e - come solo le persone organizzate sanno fare - sbaglio il treno.
Stessa destinazione, ma invece di prendere il treno veloce, scelgo - evidentemente a causa dell’eccessiva tranquillità di prima - la tratta che prevedeva quelle duecentomila fermate in ordine sparso. Credo che quel treno si sia fermato non solo in ogni singolo comune, ma anche in ogni singola via presente tra Milano e Bologna.
Arrivo. Mi presento: «Salve, sono quella in ritardo che deve parlare della gestione del tempo…».
Nella mia vita da professional organizer è tutto perfetto?
No, ma non lo vorrei nemmeno! Come farei a ricordare il profumo della pioggia, la bellezza di correre con il cane, la natura che si risveglia con la primavera e lo scorrere lento del treno (vabbè, per il treno… lasciamo perdere 😃).
Va bene così.
So perfettamente che alcune cose andranno fuori controllo e questo è un grande senso di liberazione perché non avrò tutto sulle mie spalle. Ma non è neanche una buona scusa per non provarci nemmeno.
4. Nessuno può fare il lavoro come lo faccio io
Questa cosa è proprio vera: nessuno può fare il lavoro come lo facciamo noi, ma nella maggior parte dei casi la diversità delle modalità di lavoro è una grande fortuna e un arricchimento di nuove idee.
Il vero valore di una collaborazione emerge quando smettiamo di cercare il nostro clone e preferiamo la diversità, quando abbandoniamo il micro controllo e miglioriamo la comunicazione delle informazioni rilevanti, affinché le aspettative e il risultato si allineino il più possibile.
L’eccessivo distacco tra aspettative e risultato, così come la pericolosità della delega boomerang, si verificano in presenza di una comunicazione poco chiara. Direi fumosa, proprio come quando si passano le informazioni con quell'inutile pretesa di lasciare i dettagli tra le righe.
Nel lavoro, leggere tra le righe o cercare di interpretare ciò che non è chiaro è, per dirla in termini professionali, una grande rottura di scatole. Fa perdere un sacco di tempo e suona come quelle conversazioni surreali tra partner del tipo:
“Che cosa hai?”
“Niente!”
“Dai, spiega.”
“Dovresti saperlo!”
Incoraggiamo, piuttosto, la spiegazione di cose anche banali e senza dare le informazioni per scontate. Tutto ciò che è documentato diventa trasparente e accessibile.
Quando non ottieni il risultato voluto da una collaborazione, torna indietro e pensa alla documentazione delle attività che ti riguardano. Sono chiare e complete?
Se hai la sensazione che ti vengano poste sempre le stesse domande, torna indietro di nuovo: le persone coinvolte hanno accesso alla visione d’insieme del flusso di lavoro? C’è un buon livello di fiducia, sicurezza psicologica e autonomia decisionale, senza dover fare il giro del mondo per sbloccare un progetto o una questione aperta?
5. Ci metto meno se lo faccio io
In questa affermazione c’è proprio un equivoco di fondo.
È vero che svolgere attività sporadiche e molto brevi richiede meno tempo se le facciamo direttamente, ma ci sono almeno due inganni in questa logica:
si pensa solo al breve periodo;
si trascura il costo del nostro tempo.
Intanto, la chiave di volta della delega si trova nel ROTI: Return on Time Invested (ritorno del tempo investito).
Se ritieni che il tempo necessario per spiegare ciò che ti serve sia tempo sprecato, allora delegare non fa per te.
Per assegnare un’attività, soprattutto all’inizio di una collaborazione, non basta rovesciare i compiti sull’altra persona ed ecco fatto. La delega è un processo condiviso che va ponderato e studiato, non solo quando non si hanno alternative.
«Se ogni giorno dedichi 5 minuti per completare un determinato compito e se a un certo punto decidi di delegare questo compito, serviranno 150 minuti del tuo tempo per il passaggio dell’attività e per spiegare ciò che vuoi ottenere.»
Secondo la regola del 30X di Rory Vaden, per ogni minuto richiesto per portare a termine l'attività, sono necessari 30 minuti di spiegazione. Quindi, se dedichi 5 minuti al giorno per un determinato compito e decidi di delegarlo, ci vorranno 150 minuti del tuo tempo per passare l'attività e spiegare ciò che vuoi ottenere.
Se consideriamo solo alcuni giorni, è normale pensare di impiegare meno per svolgere quanto richiesto, in autonomia e senza perdere tempo nella spiegazione. Ma se consideriamo un periodo più lungo, di alcuni mesi o di un anno, 150 minuti spesi per trasferire l’attività non sono niente rispetto al tempo che si guadagnerà in futuro.
C’è anche il fattore costo del tempo e qui dovresti riuscire a rispondere alle domande:
Quanto costa il tuo tempo?
Quanto costano le attività che svolgi?
Riprendo la tabella creata da Perry Marshall, l’autore del libro 80/20 Sales and Marketing. Le attività vengono divise in base al costo orario e aiutano a capire dove se ne va il nostro tempo.
Prova a fare lo stesso: elenca le attività che ruotano attorno al tuo lavoro e dividile per costo. Identifica, inoltre, le aree che, per forza di cose, devi svolgere in prima persona e quelle che potresti assegnare ad altre persone.
Da queste analisi, ci metto meno se lo faccio io non è così scontato.
6. L'organizzazione e la delega con me non funzionano
Non funzionano quando non abbiamo dei limiti, pensando che tutto si possa risolvere con la gestione del tempo.
Ma abbiamo l’assoluta certezza che non si tratti piuttosto di sovraccarico e di accumulo?
L’organizzazione e la delega non fanno miracoli e, se continuiamo ad aggiungere cose da fare su cose da fare, non funzioneranno mai.
Senza limiti in ingresso, la pianificazione, l’organizzazione e la delega non reggono.
Quindi nessun segreto?
In realtà, il segreto dei segreti consiste nel non sottovalutare l'importanza di avere un'agenda ben nutrita. È passato quasi un anno dalla scomparsa del giornalista Gianni Minà, celebre per molte cose, tra cui la sua capacità di raggiungere qualsiasi tipo di personaggio pubblico. Questa sua abilità emerge dal racconto di Massimo Troisi e l’ho scelto per concludere con qualcosa di veramente bello ❤️
Organizzazione digitale
Inbox Zero sì o no?
Non sono un’accanita sostenitrice del concetto di Inbox Zero.
Diciamo che tra ostinarsi a liberare costantemente la inbox in ogni momento della giornata e avere 5000 email non lette… ci sono tante sfumature, da scegliere nel rispetto di quello che facciamo e di come ci fanno sentire le comunicazioni.
L'obiettivo non è solo quello di avere un contatore dei messaggi pari a zero, ma piuttosto di avere un sistema di gestione che tenga sotto controllo la coda e lo stress per le cose rimaste in sospeso.
Senza dimenticare che questo concetto risale agli inizi degli anni 2000, con un sovraccarico digitale molto diverso dall’attuale (uno dei primi a parlarne fu Merlin Mann prendendo spunto dal metodo GTD di David Allen).
Sistemare le email è bello, fa sentire bene, dona le stesse sensazioni positive che avvertiamo quando facciamo ordine o liberiamo spazio. È gratificante avere la posta elettronica sotto controllo.
Servono però dei limiti che ci aiutino a non esagerare in un senso o nell’altro. Soprattutto se il nostro lavoro principale non è quello di gestire le email…
Perseguire a tutti i costi la Inbox Zero può diventare una partita a Uno infinita senza la possibilità di buttare l’ultima carta e magari ritrovandosi con un brutto +4 che ci obbliga a ricominciare.
Molto meglio cercare di fare in modo che la posta elettronica abbia il minor impatto possibile nel nostro lavoro, più possibile vicino allo zero (non come numero, ma come gestione e sistema).
Altrimenti il rischio è quello di avere la inbox vuota e in ordine, ma arrivando a sera senza aver fatto qualcosa di davvero significativo.
Specifichiamo: non è una scusa per non gestire la posta elettronica…
Le inbox in generale, se ben gestite, possono essere di notevole aiuto:
«Diventiamo dipendenti dalla scossa di gioia che ci danno alcuni messaggi. La nostra dipendenza deriva da un impulso primordiale che cerca ricompense positive. È questo impulso che ci spinge a controllare la nostra casella di posta più e più volte, anche se non siamo sicuri di quando arriverà la prossima ricompensa. Ci fa passare al setaccio i noiosi messaggi di lavoro per trovare quelle gemme rare che ci fanno sentire eccitati e vivi, che si tratti di un’email, di un amore perduto o di un amico quasi dimenticato. La posta elettronica influisce sulla nostra psicologia in più di un modo. Provoca anche un paradosso del progresso. Quando rimandiamo le attività importanti aprendo ogni messaggio di posta elettronica nel momento in cui arriva, stiamo ingannando il nostro cervello. Da un lato, ci sentiamo produttivi perché stiamo riducendo il numero di messaggi, ma, dall’altro, non stiamo realizzando quasi nulla. Tuttavia, portare a zero quel numero di email non lette è una ricompensa quasi irresistibile poiché innesca la stessa risposta che otteniamo dal completamento di un’attività importante. Ma qualsiasi email che può essere eliminata rapidamente è generalmente insignificante e non ha alcun impatto sui nostri obiettivi a lungo termine.» (Dal libro Unsubscribe, di Jocelyn K. Glei)
📖 Bit & Learn
Lavorare con lo smartphone o, in generale, usarlo per qualcosa di utile è un aspetto che richiede molta organizzazione. Più organizzi il modo di usarlo, meno distrazioni subirai.
Per migliorare il modo in cui usiamo il telefono, puoi iscriverti al percorso gratuito Organizza lo smartphone, trasforma il tuo telefono in un’oasi digitale. Riceverai 15 email in 15 giorni con suggerimenti e riflessioni per un uso più consapevole e intenzionale del tuo dispositivo.
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❤️ Bit & Love
Per anni mi sono sentita in battaglia. Scendevo in campo ogni mattina con uno “zaino” enorme sulle spalle e, come Demi Moore nel film Soldato Jane, faticavo ad arrivare a sera.
I pesi più grandi arrivavano quando non sapevo cosa avrei voluto fare, dove sarei voluta essere, chi avrei voluto accanto. A volte pesi insormontabili che mi impedivano di avanzare. Mi impedivano di decidere.
A un certo punto, ho lasciato andare il carico e le prime decisioni hanno iniziato a portare ad altre decisioni sempre più chiare. Azioni che mi hanno permesso di fare, di muovermi, di iniziare un cammino più leggero. Un cammino più adatto a me e che mi ha aiutato ad allontanarmi da questa vignetta:
Passo Zambla, fine febbraio 2024
Come d’incanto.
Con stima nerd,
Debora